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Praia a Mare

Praia a Mare è un comune di 6.871 abitanti della provincia di Cosenza.

In origine popoloso villaggio di contadini e di pescatori sorto sulle spiagge strette tra il corso del fiume Noce, che a nord segna il confine con la Basilicata ed il contrafforte roccioso oltre la pianura alluvionale del fiume Lao, fu inizialmente la frazione marinara del confinante comune di Aieta.

Praia a Mare diviene comune amministrativamente autonomo nel 1928. Per secoli Praia ha mantenuto integri e vivi usi, costumi e tradizioni della vicina rocca natia. L'etimologia del nome è incerta, anche se ricorda i traffici di merci e di uomini che nell'antichità avvenivano sulla costa Tirrenica: deriverebbe da "Plaga Sclavorum", spiaggia degli Sclavoni o degli Schiavoni, o da "Plaga Slavorum", spiaggia degli Slavoni.

La cittadina ha subito un notevole sviluppo tra gli anni sessanta e novanta grazie agli investimenti del gruppo Marzotto e della famiglia Agnelli. Oggi, Praia a Mare, che ingloba anche l'Isola di Dino, vive principalmente di turismo.

Da vedere

Isola di Dino: Piccola isola che si innalza di fronte alla località Fiuzzi. Sono presenti delle grotte marine, tra queste le più famose sono la Grotta Azzurra (per l'intenso colore azzurro dell'acqua al suo interno) e la Grotta del Leone (il nome deriva dalla presenza al suo interno di uno scoglio che assomiglia molto ad un leone sdraiato).
Museo Comunale Città di Praia a Mare: Ospita una raccolta permanente d'arte moderna e contemporanea realizzata con il contributo di numerosi artisti italiani e stranieri che hanno donato all'istituzione complessivamente oltre duecento opere.
Il Fortino: Al XVI secolo risale il forte difensivo del Fumarulo di Praia che i signori di Aieta fecero costruire e destinarono alla difesa del litorale costiero.
Torre di Fiuzzi: Costruita su un faraglione della scogliera di Fiuzzi alto 15 metri, su cui era già presente una torre angioina, è una delle torri più grandi della zona. Era posta a presidio della costa dalle incursioni Saracene.
Chiesa del Sacro Cuore
Chiesa di San Paolo Apostolo
Chiesa di Gesù Cristo Salvatore: Struttura di recente realizzazione raccoglie il culto dei residenti della località Foresta.
Rocca di Praia: Complesso fortificato risalenti al secolo XIV di costruzione Normanna.
Santuario della Madonna della Grotta: Così chiamato perché posizionato all'interno di una grotta naturale all'interno di una collina. In esso è venerata la Madonna della Grotta la cui leggenda narra che il comandante di un bastimento turco fu costretto dall'equipaggio a riporre all'interno dell'omonima grotta una statua lignea (rubata) del XV secolo raffigurante la madonna.
Grotta delle Sardine: Così chiamata per la copiosa presenza di sarde lì pescate un tempo con una particolare rete detta il "cianciorro" ("giangiuorro" o "giangiuorr'" in dialetto).

Isola di Dino

L’Isola di Dino
una delle antiche Itacesi, è sostanzialmente l’unica isola della Calabria, tenuto conto che quella di Cirella, a circa venti miglia, è poco più che un enorme scoglio.

Emerge sul litorale nel Golfo di Policastro, poco più a Sud di fronte a Praia a Mare (CS), a breve distanza dalla costa, di fronte a Capo Arena e alla Torre di Fiuzzi. Un tempo, un istmo la collegava alla terraferma, ma i fenomeni di erosione, cui tutta la zona è soggetta, lo hanno fatto scomparire.

L’isola ha una superficie di circa cinquanta ettari ed è costituita da calcari dolomitici. La sua forma è assimilabile ad un ellissoide con l’asse maggiore lungo circa 1 km, disposto in direzione Est-Ovest; l’asse minore misura circa 500 metri. La parte centrale dell’isola è occupata da un pianoro d’altezza variabile tra i 75 e i 100 metri. Il dorso scende poi lentamente verso ponente fino ad una quota di metri 73 sul Frontone. Su cui sorge una cinquecentesca torre di avvistamento.

I versanti esposti a Nord ed a Sud si presentano con diversa morfologia. Il versante a Nord è costituito per quasi tutta la sua lunghezza da una falesia verticale, che scende a picco nel mare con un’altezza di circa 70 metri, fino ad interrompersi a pochi metri dal mare con una scogliera molto aspra. Il versante a Sud presenta un profilo meno aspro: degrada dolcemente verso il mare terminando con un’ampia scogliera; è quasi completamente ricoperta di macchia mediterranea e nella parte meridionale c’è anche una bella lecceta, che probabilmente in origine ricopriva l’isola.

Da vedere

Grotta delle Sardine: Così chiamata per la copiosa presenza di sarde lì pescate un tempo con una particolare rete detta il "cianciorro" ("giangiuorro" o "giangiuorr'" in dialetto).
Grotta Azzurra: la più grande tra tutte e la più conosciuta. Lunga circa 70 metri, i suoi fondali raggiungono una profondità massima di 12 metri. La sua altezza varia per via della levigazione della roccia stessa. La parte interna ad Est  è leggermente in penombra e la luce che penetra all’interno della grotta le fa assumere un colore azzurro particolare. 
Grotta del Leone
: posta a Sud Est si volge verso la spiaggia. La sua cavità è irregolare dal fondale molto basso (circa 5 metri). Prende il nome da una roccia posta in fondo alla grotta che sembra somigliare ad un leone disteso con la testa sollevata. 
Grotta del Monaco: si presenta di modeste dimensioni e prende il nome dal fatto che sulle rocce è possibile intravedere la figura di un monaco in preghiera e diventa molto suggestiva quando i raggi del sole la illuminano da ponente.
Grotta del Frontrone: rivolta al largo, alla punta occidentale  detta Frontone, su una banchina di grossi massi c’è un’ampia entrata della Grotta che si affaccia a mare guardando Punta Scalea.
E' costituita a sinistra da un antro di ridotte dimensioni con pareti levigate dal flusso e riflusso delle acque; a destra si trovano colonne calcaree. Aattraverso un’apertura piuttosto ristretta (bisogna essere forniti di una lampada ben luminosa) si entra in un primo ambiente a cupola irregolare le cui pareti sono lisce, levigate e ricche di formazioni stalagmitiche e continua ora restringendosi ora allargandosi in grandi caverne in cui le stalattiti e le stalagmiti hanno creato arabeschi veramente eccezionali.
Grotta delle Cascate: si presenta come una grande frattura inclinata nella parete rocciosa, lunga 60 metri. Ci si può addentrare con kayak o a nuoto per circa una ventina di metri. Le acque sono limpidissime e lasciano vedere sul fondo le rocce levigate e arrotondate ricoperte da un leggero strato di muschio. Si prosegue poi a piedi e nel fondo della grotta si possono ammirare le rocce levigate dall’acqua.  E' ricca di piccole e bianche stalattiti. 
Grotta Gargiulo: a 18 mt di profondità è certamente la meta subacquea più nota ed importante dell’intero tratto della costa calabrese, consigliata soltanto a subacquei molto esperti. Vi si trovano rocce di colore chiaro e segni di un antico fiume sotterraneo, imponenti stalattiti alte anche 8 mt di almeno 10.000 anni e lunghe oltre 4 metri, due campane d’aria con specchi d’acqua cristallini ed un ambiente da togliere il fiato. E nel tragitto si incontra la fauna tipica delle grotte ed esemplari di Cicala grande di mare (Scyllarides Latus) specie rara protetta.
Ci sono due bolle d’aria che il Gargiulo indica come “laghetti”. La prima si trova a circa 95 metri e la seconda al termine del percorso. Per raggiungere la seconda è necessario entrare in un cunicolo molto stretto da percorrere lentamente. Un labirinto non facile da visitare con l’insidia della fanghiglia sollevata che offusca la visibilità. 

Aieta

Il nome del comune, "Ajeta", deriva dal greco "aetos" (aquila), una volta presente nel territorio dell'antico centro abitato situato sul monte Calimaro (dal greco "kalos" = bello ed "emeron" = giorno). Il territorio di Ajeta fu abitato fin dalla preistoria, come provano alcuni ritrovamenti del paleolitico e del neolitico.

Nel periodo della colonizzazione greca (VIII - VI sec. a.C.) erano abitate la contrada "Zaparia" e la zona ancora oggi chiamata "Ajeta Vetera", sul monte Calimaro.

In epoca romana, gli abitanti di Ajeta Vetera, dediti all'agricoltura e alla pastorizia, facevano della cittadina lucana di Blanda Julia, ubicata sul colle del Palestro (Palècastro) tra Praja e Tortora, il loro centro commerciale.

Verso la metà dell'VIII sec. diversi monaci si trasferirono dai paesi del Mediterraneo orientale in Calabria, fermandosi anche nella zona di Ajeta dove fondarono piccoli monasteri (cenobi) di rito greco, detti anche "basiliani". La presenza di questi monasteri è testimoniata dai nomi di alcune contrade di Ajeta (Sant'Elia, San Marco, San Giovanni). Tra il IX e il X sec., a causa delle scorrerie di pirati saraceni o per calamità naturali, gli abitanti di Blanda furono costretti a rifugiarsi verso l'interno, dando origine a Tortora e ai rioni Julitta, San Basile e Cantogrande dell'attuale Ajeta.

Nel monastero di Ajeta era conservata una lapide che ricordava il vescovo Giuliano di Blanda (III - IV sec. d.C.).

Nello stesso periodo gli abitanti di Ajeta Vetera dovettero abbandonare il monte Calimaro, a causa di avversità naturali, spostandosi nell'attuale centro abitato.

Dall'epoca della dominazione normanna (XI sec.) fino agli inizi del 1800 la storia di Ajeta è ricca di passaggi di feudatari: Scullando, De Montibus, Loria, Martirano, Cosentino e Spinelli che abitarono nel Palazzo costruito nel XIII sec. e ampliato nel XVI.

Nel 1563, gli aietani, guidati da Silvio Curatolo, cercarono di riscattarsi dalle servitù baronali, ma il tentativo fallì.

Nella prima metà del XIX sec. ci furono eventi piuttosto drammatici: carestie, epidemie e terremoti, tuttavia, nel 1859, la popolazione raggiunse il massimo storico con 3603 abitanti per poi diminuire, progressivamente, perché iniziò la prima grande ondata emigratoria: dal 1870 al 1899 emigrarono, soprattutto verso il Sud America, 2239 persone.

Tre fatti significativi nel 1800: la costituzione di un Comitato rivoluzionario anti-borbonico nel 1848, la fondazione nel 1881 della Società Operaia di Mutuo Soccorso "Silvio Curatolo" e la costruzione del primo acquedotto autofinanziata (L. 55.189) dagli abitanti.

Nel XX sec. gli aietani parteciparono, pagando un pesante tributo, alle due guerre mondiali con 47 caduti nella prima e 24 nella seconda.

Negli anni '50 riprese, inarrestabile, l'emigrazione: non solo verso l'America e l'Europa ma anche verso le regioni italiane del centro, del nord e verso la vicina Praja a Mare, una volta Marina di Ajeta (Praia di Aieta) che ancora oggi molti aietani continuano a chiamare la "Marina".

Tra i borghi più belli d'Italia

Aieta ha origine medievale. Le sue stradine strette e in dislivello riportano agli anni intorno al Mille, quando in queste contrade giunsero gli abitanti della cittadina magnogreca, lucana e poi romana, di Blanda Julia, abbandonata perché esposta alle scorrerie dei corsari saraceni. Il borgo, le cui note di colore dominanti sono il bianco delle facciate e il rosso dei tetti, si stringe intorno al suo edificio più prezioso, il palazzo eretto nel XVI secolo dai Martirano, ampliato dai marchesi Cosentino e poi venduto agli Spinelli di Scalea, uno dei pochi esempi dello stile rinascimentale applicato all’edilizia civile in Calabria. E’ disposto su tre piani: il pianterreno, dove c’erano il corpo di guardia, la cappella, l’ufficio del marchese, le sale di ricevimento e di musica, le cucine e la dispensa; il primo piano con le camere da letto; i sotterranei con le cantine, le cisterne dell’acqua e la prigione. Il palazzo ha una pianta a U e un loggiato che si apre lungo la cortina muraria della facciata, con cinque archi che poggiano su colonne tuscaniche addossate a pilastri, in pietra locale grigia. Recentemente sono state restaurate vaste porzioni di affreschi. Dichiarato monumento nazionale nel 1913, il palazzo è oggi di proprietà comunale.
Tra gli edifici religiosi, spicca la chiesa madre, dedicata a Santa Maria della Visitazione, realizzata nel XVI secolo su impianto di età normanna. Poiché il centro storico era costituito a quel tempo dai rioni Cantogrande e Julitta, la chiesa è citata nei documenti dal 1530 come Santa Maria de fora, fuori cioè dal centro abitato. Impreziosisce l’ingresso il portale in pietra, fiancheggiato da pilastri decorati a volute, realizzato dallo scalpellino Gerardo Rea nel 1756, come riporta il medaglione sovrastante. L’interno, a croce latina con tre navate, è ricco di affreschi e dipinti su tavola. Destano interesse il prospetto di custodia eucaristica in marmo del 1511, trasformato in pala d’altare durante i lavori di rifacimento tardo secenteschi dell’edificio; un crocefisso in legno di artigianato meridionale; l’icona della Madre di Consolazione, rara nel suo genere, proveniente dall’antica chiesa di San Nicola e forse riconducibile ai prototipi d’inizio Cinquecento di Nicolaos Tzafuris, cretese di Candia; la croce d’argento con fusto a tralcio di vite della seconda metà del Cinquecento; la Madonna del Carmine di Dick Hendricksz (1544-1618), artista fiammingo che ebbe grande influenza sulla cultura pittorica dell’Italia meridionale; le due pale d’altare di Fabrizio Santafede, pittore napoletano a cavallo tra tardo manierismo e primo barocco, con la grande Visitazione collocata nell’abside nel 1576. Notevole anche l’organo Bossi-Prezioso di scuola napoletana, consegnato alla chiesa il 19 agosto 1673, restaurato nel 1995 per restituirgli la sua antica voce.
Del convento dei Padri Minori Osservanti di San Francesco d’Assisi (1520) abbattuto intorno al 1950, resta solo la chiesa di San Francesco, oggetto di un recente recupero.
A 800 metri dal centro storico, nella cappella di San Vito Martire (XVII secolo), con portale ad arco e portico di ingresso, è conservata la statua lignea settecentesca del patrono di Aieta.
Altre cappelle da visitare sono quella di San Giuseppe in piazzale palazzo, con portale in pietra sormontato dallo stemma nobiliare dei Cosentino, quella di San Biagio per i suoi affreschi rinascimentali, di Santa Maria della Purità, dell’Addolorata al Ponte (XVIII secolo) e infine quella, ridotta a rudere, di San Nicola in Cantongrande, risalente all’XI secolo e fino al XVI di rito greco.
Magnifici portali in pietra, lavorati da scalpellini locali tra Sette e Ottocento, sono disseminati tra le viuzze del centro storico: ricordiamo quelli di via Cantongrande ai numeri civici 5 e 6 (rispettivamente del 1767 e del 1860, come da incisione sulla chiave di volta), 39 e 41, in via Socastro ai numeri 5, 6, 46 e 86, e nelle vie Giugni Lomonaco, Notar Lomonaco, Vico dei Nobili.
Attraversato un ponte medievale, si arriva infine ai resti di antichi mulini ad acqua.

Tortora

Tortora è il primo comune della Calabria nord occidentale che si affaccia sul Mar Tirreno, al confine con la Basilicata. Il suo territorio prevalentemente collinare è incluso in gran parte nel Parco Nazionale del Pollino, confina sul versante nord con i comuni di Maratea e Trecchina, a nord-est con Lauria, ad est con Laino Borgo, a sud con Aieta e Praia a Mare ed ad ovest con il Mar Tirreno.

Il territorio è diviso in tre realtà antropiche: il centro storico che conta circa 550 abitanti, le frazioni montane con circa 550 abitanti e la marina con circa 4900 abitanti.

Il territorio tortorese ha visto la presenza dell'uomo fin dagli albori della storia umana. Nella località Rosaneto è stato trovato un giacimento preistorico all'aperto risalente al Paleolitico Inferiore datato a circa centocinquantamila anni fa, uno dei più antichi siti preistorici italiani. In questo sito sono stati rinvenuti un migliaio di strumenti litici, tra i quali 140 choppers, 67 amigdale ed alcuni hachereaux.

La presenza umana sul territorio è continuata anche nei millenni a seguire come dimostrano gli scavi avvenuti ai piedi della falesia calcarea di Torrenave. Negli strati inferiori degli scavi sono stati recuperati strumenti litici prodotti dall'uomo di Neanderthal nel Paleolitico Medio, mentre in quelli superiori compaiono gli strumenti tipici dell'homo sapiens sapiens (Paleolitico Superiore). Nella grotta della fiumarella sono riemerse ceramiche incise dell'età del bronzo dall'Eneolitico fino al Bronzo medio.

Cenni storici - Blanda

Blanda
I primi segni di civiltà risalgono al popolo degli Enotri, che dimorò sul territorio fino dal VI secolo a.C. al IV secolo a.C. provenienti probabilmente dal Vallo di Diano, la loro presenza sul territorio è stata accertata dal ritrovamento di 38 tombe con corredi funerari enotri, da una stele litica e da un piccolo centro abitato.

In seguito, agli Enotri si sostituì apparentemente senza scontri bellici, il forte popolo italico dei Lucani, che nel comune di Tortora sul colle Palecastro ampliarono e fortificarono il centro abitativo di origine enotria di Blanda. Intorno al IV secolo a.C. i Lucani erano i signori incontrastati del territorio che si estendeva fino alle rive del fiume Lao a sud dell'odierna Scalea. Come riportato dallo storico romano Tito Livio, Blanda fu espugnata nel 214 a.C. dal console romano Quinto Fabio Massimo, per essersi schierata con Annibale nella seconda guerra punica. Da quanto riportato da Tito Livio, si può dedurre che Blanda era un centro lucano di primaria importanza.

Dopo la conquista romana Blanda visse per oltre centocinquant'anni una vita stentata fino alla metà del I secolo a.C., quando divenne un centro amministrativo romano ed assunse il nome di Blanda Julia in onore di Gaio Giulio Cesare. La vita di Blanda continuò ad essere tranquilla fino alla metà del II secolo, quando iniziò una lenta ma continua decadenza. Durante i primi secoli del Cristianesimo, Blanda fu sede vescovile, e in questo periodo fu edificata la chiesa paleocristiana in località Pianogrande. Si tratta di una chiesa a pianta centrale con ingresso ad ovest e tre absidi, circondata da sepolture, databile tra il VI e il VII secolo.

Nel 592 Blanda subì un'incursione longobarda, e la sede episcopale dovette essere ripristinata dal vescovo Felice di Agropoli, su preciso mandato di papa Gregorio Magno. Nel 601 fu vescovo di Blanda un certo Romano, come ne attesta la sua presenza al Sinodo Romano. Nel 649, anno in cui si svolse il Sinodo Romano, continuò ad essere sede vescovile, come dimostra la presenza del suo vescovo Pasquale. Nell'VIII secolo Blanda passò in mano ai Longobardi. Un altro Sinodo indetto da papa Zaccaria nel 743 fu sottoscritto da Gaudiosus Blandarum Episcopus. A partire dal IX secolo Blanda, sottoposta a continue incursioni e saccheggi da parte dei predoni Saraceni, fu definitivamente abbandonata.

Alcuni dei suoi abitanti si rifugiarono nell'entroterra e fondarono su uno sperone roccioso il primo nucleo di Tortora, chiamato, in onore dell'antica città, Julitta. Oggi i ritrovamenti dell'antica città di Blanda possono essere ammirati nella mostra perenne "Archeologia per Tortora: frammenti dal passato", sita nel palazzo Casapesenna a Tortora Centro Storico.

Dal Medioevo in poi
Il nome del paese deriva dal latino turtur, -uris, ossia tortora. La tortora selvatica è raffigurato anche sullo stemma comunale.

Tra l'VIII ed il X secolo d.C. a Tortora, come nel resto della Calabria, in seguito all'editto di Leone III l'Isaurico, che propugnava l'iconoclastia ed alla conquista araba della Siria e dell'Egitto, giunsero decine di monaci basiliani provenienti dalla Cappadocia, dal Pelloponneso, dalla Palestina e dalla Siria, che qui venivano per estraniarsi dal mondo e vivere in pienezza il contatto con Dio. E proprio in queste terre scarsamente popolate, trovarono luoghi idonei al loro culto, dove edificarono decine di piccole cappelle e laure eremitiche basiliane, che ancora oggi a mille anni di distanza danno il nome alle località in cui furono edificate: Caritàti (Carità), Chijericalài, Sant'Elia, Sànta Gàda (Santa Ada), Sàntu Lèu (San Leo), Sàntu Linàrdu (San Leonardo), Sàntu Micìelu (San Michele), Sàntu Nicòla (San Nicola), Sàntu Pàulu (San Paolo), Sàntu Pìetru (San Pietro), Sàntu Prancàtu (San Brancato), Sàntu Quarànta (Santi Quaranta Martiri), Sàntu Sàgu (San Saba) e Sàntu Stèfanu (Santo Stefano).

A partire dai primi anni del secondo millennio il piccolo borgo di Julitta iniziò una lenta espansione ed assunse il nome di Tortora, dal volatile omonimo che in quel periodo abbondava nei boschi adiacenti. Nella Bolla del 1079, con cui Benedetto Alfano arcivescovo di Salerno consacrò Pietro Pappacarbone vescovo di Policastro, compare per la prima volta nella storia religiosa il nome di "Turtura" accanto a quelli di Agrimonte (Agromonte di Latronico), Arriusu, Abbatemarcu (antico paese sito nel comune di Santa Maria del Cedro), Avena ( Avena di Papasidero), Camerota, Caselle (Caselle in Pittari), Castrocuccu (Castrocucco di Maratea), Didascalea (Scalea), Lacumnigrum (Lagonegro), Laeta (Aieta), Languenum (Laino), Latronucum (Latronico), Mandelmo, Marathia (Maratea), Mercuri (Mercurion), Portum (Sapri), Regione, Revella (Rivello), Rotunda (Rotonda), S. Athanasium, Seleuci (Seluci di Lauria), Trosolinum, Turraca (Torraca), Turturella (Tortorella), Triclina (Trecchina), Uria (Lauria), Ursimarcu (Orsomarso) e Vimanellum (Viggianello), che facevano parte della Diocesi di Policastro, oggi Policastro Bussentino (frazione di Santa Marina).

Tra i primi signori di Tortora ci furono i Cifone, che la tennero fino al 1284. Dal 1284 al 1496 Tortora appartenne ai Lauria, di cui il personaggio più rappresentativo fu l'ammiraglio Ruggero di Lauria; nel 1496 Ferdinando II d'Aragona la donò a Giovanni De Montibus. In seguito passò ai Martirano, poi agli Ossonia nel 1565, agli Exarques nel 1602, ai Ravaschieri nel 1692. Dal 1707 al 1821 i signori di Tortora furono i Vitale.

Età Moderna
Nel XVI e XVII secolo tra le attività principalmente diffuse nella Marina di Tortora troviamo la coltura del baco da seta e della canna da zucchero.

In questi secoli Tortora conobbe grandi epidemie, fra cui la terribile peste di Colera del 1656 che dimezzò la popolazione; nel 1770 per epidemia perirono 136 persone, nel 1778 morirono per il vaiolo 60 persone, nel 1794 da aprile a giugno morirono 77 bambini tra gli uno ed i dieci anni. Epidemie e colera falciarono vittime anche nel 1802, 1804, 1837 e 1849. Il problema delle morti di massa fu definitivamente risolto nel 1866, quando furono abolite le risaie nei territori di Tortora ed Aieta.[18] Il 13 dicembre 1806 giunsero a Tortora le truppe francesi del re Giuseppe Bonaparte, le stesse che avevano devastato Lagonegro e Lauria, ma diversamente da altre popolazioni i tortoresi, per evitare devastazioni e saccheggi, non opposero resistenza all'invasore francese, che risparmiò per questo la vita dei cittadini e non operò razzie; lasciata Tortora le milizie si diressero verso la vicina Aieta, che era stata abbandonata dai suoi abitanti. Gli stessi soldati in seguito bruciarono il palazzo Spinelli di Scalea e distrussero la cittadina di Cirella. Il 3 settembre del 1860 a Tortora sostò Giuseppe Garibaldi insieme ai suoi generali Agostino Bertani, Nino Bixio, Enrico Cosenz e Giacomo Medici, ospiti della famiglia Lo Monaco Melazzi, durante la conquista del meridione d'Italia. In questa occasione Garibaldi investì il tortorese Don Biagio Maceri capitano della Guardia Nazionale.

Nel 1928, con R.D. 29 marzo e con Decreto Prefettizio del 16 aprile il Comune di Tortora, dopo una plurisecolare esistenza autonoma, venne soppresso ed accorpato, insieme al comune di Aieta, al nuovo comune di Praia a Mare, che fino a quel momento era stata frazione di Aieta. Nel 1937 riacquistò in data 18 luglio la propria autonomia.

San Nicola Arcella - Arcomagno

Le origini di San Nicola Arcella provengono dalla cittadina di Scalea, la quale, venne fondata dai superstiti di Lavinium, antica città romana, sorta alla foce del fiume Lao, dopo la distruzione della città “LAOS” che fu assalita dai barbari del nord.

La popolazione di Lavinium, fu costretta dalle condizioni igieniche (la malaria che infestava la piana del Lao) e dalla necessità di difendersi dalle incursioni saracene, a rifugiarsi sulle alture vicine, dando origine nei tempi bizantini, “alla Scalea ed al Casale di questa San Nicola Arcella” ( Oreste Dito).
L’antica denominazione del borgo originario era in realtà San Nicola dei Bulgari. Solo nel 1912 assunse l’attuale nome di San Nicola Arcella; sembra che quest’ultimo derivi dalla terra sulla quale, oggi, è strutturato il centro abitato, e cioè una rocca ( in latino arx ) dove si rifugiarono i superstiti di Lavinium.

Il riconoscimento dell‘ordinamento amministrativo del 1799 disposto dal generale Championnet, comandante delle truppe francesi, difensore della nuova Repubblica Romana, desideroso di estendere le sue conquiste anche nella Regione Partenopea, collocò San Nicola Arcella nel Cantone di Lauria.
Nel XVIII secolo il principe Scordia Pietro Lanza Branciforte, avendo sposato Eleonora, ultima erede degli Spinelli di Scalea, divenne principe di tutto il feudo e alla contrada Dino fece costruire come sua residenza estiva il grande palazzo che si erge ancora maestoso ed è visibile dalla strada.
Il feudo rimase in mano ai principi Spinelli di Scalea fino all’abolizione della feudalità decretata dai Francesi (1806).

Sotto i nuovi dominatori San Nicola conobbe una breve autonomia amministrativa, per il riordino amministrativo predisposto con il decreto 4 Maggio 1811, in virtù del quale venivano istituiti i comuni, San Nicola, viene iscritta a frazione di Scalea. Diviene comune autonomo nel 1912; il primo sindaco eletto fu il signor Tenuta Michele.

La storia contemporanea di San Nicola Arcella si lega strettamente alla personalità e alle vicende dei suoi abitanti.
Sicuramente tra i personaggi più determinanti per la storia di San Nicola vi è Lord Crawford, scrittore inglese che intorno alla fine dell’800 pose la propria dimora presso la torre di guardia, vi ambientò alcuni suoi racconti offrendo testimonianza della vita del piccolo borgo marinaro.

Da vedere

La spiaggia dell'Arcomagno, plasmata dall'attività erosiva del mare sulla roccia, deve il suo nome all'imponente arco in pietra che delimita l'accesso al mare. La spiaggia, bandiera blu 2019, è formata da una apertura nella roccia che ha portato alla creazione di una piccola baia sabbiosa: un vero paradiso naturale circondato da fitta vegetazione. 

Proprio di fianco all'insenatura c'è la Grotta del Saraceno, una cavità naturale caratterizzata da una sorgente di acqua dolce al suo interno. Il modo migliore per raggiungerla è percorrendo un sentiero ricavato nella roccia, lungo la passeggiata potrete vedere lo spettacolare paesaggio sulla costa tirrenica della Calabria, su Praia a Mare e sull'isola di Dino.
 
L'Antica Torre Saracena è conosciuta come Torre Crawford prende il nome dall'ultimo proprietario della torre: Lord Francis Marion Crawford, scrittore statunitense innamoratosi della baia di San Nicola Arcella mentre esplorava l'Italia a bordo di una piccola barca accompagnato dalla moglie e un marinaio. Crawford era solito soggiornare nella Torre, dove traeva ispirazione per i suoi racconti, alcuni ambientati proprio nel piccolo centro calabrese.

Il Palazzo del Principe fatto costruire alla fine del XVIII secolo, rappresentava la residenza estiva dei signori di Scalea, la famiglia Spinelli che oltre ad essere famosa militarmente è conosciuta anche per le opere letterarie del Principe Francesco Maria Spinelli nato da Antonio e Beatrice Carafa. Il principe Antonio Spinelli, vissuto all’epoca dell’Inquisizione ampliò il feudo acquistando nel 1768 anche quello di Aieta .

Luoghi da vedere e visitare

Tortora
Tortora
San Nicola Arcella - Arcomagno
San Nicola Arcella - Arcomagno
Praia a Mare
Praia a Mare
Maratea
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Isola di Dino
Isola di Dino
Aieta
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